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Rassegna di pittori italiani

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Intervista a Carlo Govoni, pubblicata su RESTATE 2013 by Reporter

 

Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune.
 

Non sempre ciò che vien dopo è progresso.
Alessandro Manzoni (1785 – 1873)

 

C’è una favola dietro ai quadri di Carlo Govoni

Ho avuto l’occasione di incontrare Carlo Govoni, un pittore che per la prima volta presentiamo ai lettori di Reporter. E’ nato a Reggio Emilia, ma dai tempi del liceo si è allontanato dalla nostra città e pertanto non abbiamo avuto molte occasioni per avvicinarlo.
Nell'estate 2013 sta esponendo alcuni suoi quadri all’Arcoiris Gallery di corso Garibaldi 23 ed ho avuto modo di parlare con lui. Gli ho chiesto: Come vedi l’arte contemporanea?

Carlo mi ha risposto con molta calma: E’ una domanda non semplice. Mi piacerebbe spiegartela con una favola.

   Quale fiaba mi racconti?

"I vestiti nuovi dell'Imperatore.”

   Se non sbaglio è una favola di Hans Christian Andersen?
Esatto.

     Ma questa storia non parla di arte contemporanea?
E’ vero, ma ascoltami e capirai.
C’era una volta un regno dove i sudditi erano fedeli al loro sovrano e si credevano persone evolute. Un giorno arrivarono due furbacchioni che si vantavano di saper tessere la tela più bella del mondo. Una tela che aveva la caratteristica di essere ben visibile alle persone di elevata cultura e non poteva essere vista dagli ignoranti e da coloro che non erano all’altezza della loro carica.

     Continua pure, perché proprio non me la ricordo.
I due furbacchioni si misero a fingere di tessere una tela inesistente, iniziarono a dire che aveva dei colori bellissimi ed era leggerissima. I dignitari di corte che si avvicinavano al telaio non vedevano nulla, ma non avevano il coraggio di dirlo e dichiaravano di ammirare una stoffa splendida. Finito il lavoro i due si recarono dall’Imperatore e gli confezionarono un vestito. Tutti i servitori e i cortigiani si misero a dire che era proprio un abito bellissimo. L’Imperatore non era proprio convinto, si accorgeva di non avere nulla addosso, ma per evitare di essere considerato uno sciocco pagò profumatamente i due furbastri.

Proprio quel giorno l’Imperatore doveva sfilare per la via principale della città e decise di farlo col vestito nuovo.
Come sai le parole corrono in fretta e nel paese si diffuse la voce che il vestito poteva essere visto solo da chi era intelligente e all’altezza del suo ruolo sociale. Il corteo si formò immediatamente. Prima le guardie a cavallo, poi i soldati che reggevano il baldacchino e sotto l’imperatore vestito di nulla. Dietro i paggetti che reggevano uno strascico inesistente. La gente lungo le strade e dalle finestre non voleva apparire stupida e tutti dicevano: «Che meraviglia il nuovo vestito! Che splendida stoffa! Che fantastico strascico!» Tutte queste esclamazioni si prolungarono per molto tempo. Ad un tratto tutti sentirono la voce di un bambino: «Ma l’Imperatore non ha niente addosso!» Il padre esclamò: «Sentite la voce dell’innocenza!»
Una donna sussurrò: «Un bambino dice che l’Imperatore non ha niente addosso!» Un’altra ripeté la stessa frase. In un attimo tutte le persone dissero «Non ha proprio niente addosso!»
L’Imperatore capì che avevano ragione, tenne duro, cercò di darsi un contegno. I ciambellani fecero altrettanto, ma ormai la grottesca menzogna non reggeva più.
Ecco: questa è l’arte contemporanea.

Quindi il vestito dell’Imperatore sono i quadri moderni?
Esatto, sono quei quadri, come quelli astratti o quelli che sembrano dei bozzetti, dove non c’è arte. Tutti quei quadri che possono essere eseguiti anche da chi non ha mai toccato un pennello. I due furbastri sono quelli che li elogiano. I sudditi sono gli uomini d’oggi: si credono evoluti ma non lo sono. Capiscono che la verità è un’altra ma non hanno il coraggio di dirla “per paura del senso comune”.  

 Vuoi dire che viviamo nel momento in cui l’Imperatore è appena uscito dal palazzo. Stiamo elogiando opere d’arte inesistenti e deve ancora arrivare il bambino che esclami: «Ma che cavolate avete appeso alle vostre pareti!»
Hai capito perfettamente. Oggi si stanno riempiendo pagine e pagine di cataloghi e di libri d’arte dove sono state fotografate tele imbrattate, opere senza senso, banali, infantili e le presentano come se fossero capolavori. Purtroppo non è ancora arrivato il bambino che dice: «queste cose le so fare anch’io.» Questa è l’arte contemporanea: un gigantesco condizionamento collettivo che fa vedere alle persone dei valori dentro ad opere che ne sono prive.

     Secondo te c’è una spiegazione sul fatto che nella società attuale le persone accettino passivamente il pensiero dominante?
Ritengo che le spiegazioni siano parecchie. Forse uno dei primi a darla è stato Étienne de La Boétie (1530-1563) nel suo discorso sulla servitù volontaria. Questo pensatore francese ha analizzato bene la pulsione che spinge gli uomini a sottomettersi. Adeguarsi diventa una scelta comoda e priva di rischi. Prova a pensare: è più facile e meno rischioso fare il cortigiano di un prepotente piuttosto che contestarlo. Così milioni di persone chinano la testa e tacciono.

     Il piegarsi e “seguire la corrente” lo vedi come un grave problema?
Lo ritengo un problema enorme; è una delle cause principali del nostro declino sociale. Oggi se non hai l’appoggio dei furbastri non vai avanti. In questo modo le persone o si adeguano o si allontanano dall’arte. C’è una terza strada che però pochissimi percorrono: ragionare con la propria testa e reagire. Questa terza via è ben sintetizzata in una frase Henry Ford (1863-1947): “Pensare è il lavoro più arduo che ci sia, ed è probabilmente questo il motivo per cui così pochi ci si dedicano.”

   Non ci sono dubbi. I tuoi dipinti sono decisamente contro l’astrattismo. Sono paesaggi dove il cielo è cielo e il mare è mare. Che cosa vorresti ottenere coi tuoi quadri?
Il mio invito principale è stimolare le persone a riflettere. Non dobbiamo dimenticare che i colori ad olio non servono per macchiare le tele, ma sono un mezzo per rappresentare la nostra realtà. E’ irrilevante che la realtà sia vera o immaginaria, l’importante è che il pittore lanci un messaggio e questo sia chiaro e intellegibile. Il mio messaggio è concretezza, buon senso e contestazione totale dell’astrattismo.
Abbiamo dimenticato che la pittura è un linguaggio universale. Come tutte le lingue la pittura serve per esprimere e ci si può esprimere solo rispettando regole ben precise. Le opere degli ultimi cento anni hanno stravolto il concetto di pittura come linguaggio. Molti pittori hanno inseguito i sogni della libertà e dell’originalità, hanno prodotto cose senza senso e si è arrivati al caos più totale.
La gente, come disse Boétie ha preferito sottomettersi, ha smarrito il buon senso. Sembra assurdo ma oggi pochi sono in grado di riconoscere un quadro tecnicamente ben fatto da una tela imbrattata. Molti espongono con fierezza nei loro salotti delle cose ridicole solo perché qualcuno ha fatto creder loro che sono originali.

     Hai un consiglio da dare ai lettori di Reporter?
Ho chiesto di mettere all’inizio dell’intervista due frasi di Alessandro Manzoni non per caso. Quando appendete un quadro ad una parete fate in modo che sia il vostro buon senso a dirvi che quell’oggetto merita di essere esposto. Non lasciatevi trascinare da altri, ma ragionate con la vostra testa e appendete qualcosa in cui veramente credete. Quando vi diranno che il tal pittore è in ascesa, che rappresenta il futuro, non fatevi condizionare. I veggenti non esistono. Chiudetevi in voi stessi e seguite la vostra ragione. Se vi diranno che i cieli con le nuvole e i mari con le onde li dipingevano anche nel diciottesimo secolo abbiate il coraggio di rispondere che “non sempre ciò che vien dopo è progresso.”

Monica Benoldi



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